Olio di oliva aromatizzato

L’olio di oliva, anche extravergine, è l’ideale da utilizzare in cucina, soprattutto per il suo gusto, e per le sue proprietà terapeutiche e salutari.

Ed è anche ideale per creare a proprio piacimento una infinita gamma di oli aromatici, che possono essere utilizzati per insaporire ulteriormente i propri piatti.

Sebbene sia possibile creare oli aromatizzati anche senza l’olio di oliva questo, e di buona qualità, è decisamente l’ideale, sia dal punto di vista del rendimento finale sia per le proprietà che esso offre.

Celebre ed ampiamente diffuso è l’olio aromatizzato al peperoncino, utilizzato per insaporire la pizza e dare un tocco di piccante al condimento della pasta.

Altrettanto conosciuto è l’olio aromatizzato all’aglio, e quello profumato con diversi tipi di spezie, dalle erbe aromatiche alle spezie meno comuni ed esotiche, come il coriandolo o lo zenzero.

Solitamente per avere un’ottima resa, ed evitare fermentazioni o muffe, è meglio utilizzare piante e spezie essiccate, anche se talvolta, e se utilizzato spesso, anche ingredienti freschi possono essere altamente utilizzabili.

Per il peperoncino fresco per esempio, il consiglio è quello di tritarlo insieme a del sale grosso e lasciarlo riposare una settimana prima di immergerlo nell’olio, per evitare che l’eccessiva umidità dei frutti possa rendere in poco tempo inutilizzabile l’olio aromatico a causa dei processi di fermentazione.

La fantasia e la sperimentazione sono sicuramente le strategie vincenti, sia nel valutare dosi e quantità necessari di ingredienti che si aggiungono all’olio, sia per valutare la durata dell’olio nel tempo.

Oziorrinco

L’oziorrinco, Otiorrhynchus cribricollis il nome scientifico, è uno dei parassiti più comuni e fastidiosi per diverse colture, non solo per ulivo e vite, ma anche diversi alberi da frutto e piante ornamentali.

Il danno che apporta il piccolo coleottero è duplice, perchè sia allo stadio larvale sia in quello adulto esso si nutre della pianta.

Nella fase larvale sono le radici ad essere attaccate, ed in questo caso il danno che provoca alla pianta dell’olivo non è così serio come per altre piante meno robuste.

Nella fase adulta invece l’insetto è particolarmente dannoso perchè la sua attività principale è quella di nutrirsi delle giovani foglie.

Un danno che se nelle piante ornamentali può essere anche solo di carattere estetico, va anche a compromettere la capacità della pianta, che vede ridotta la sua superficie fogliare, di attuare in maniera efficiente la fotosintesi, pregiudicando così la crescita della chioma.

L’insetto attacca anche i germogli ed i piccioli di frutti e foglie, che possono così cadere anzitempo.
La lotta all’oziorrinco viene effettuata attraverso trattamenti chimici, meccanici e biologici.

Per i primi si utilizzano insetticidi a base di fosforo (esteri fosforici), somministrati sia sui rami giovani sia, soprattutto alla radice, nel tentativo di eliminare larve ed insetti adulti che trovano lì il loro rifugio.

La lotta meccanica consiste nel piazzare delle bande adesive intorno al tronco, per intrappolare l’insetto che attraverso il tronco raggiungono l’apparato fogliare.

La lotta biologica viene invece effettuata con l’utilizzo di parassiti dell’insetto che attaccano e distruggono le larve.

Olio di oliva e dieta mediterranea

Nella dieta mediterranea sicuramente l’olio di oliva rappresenta uno dei capisaldi. Sebbene le sue caratteristiche terapeutiche e nutritive siano conosciute dall’uomo sin da epoche remote, è solo negli ultimi trent’anni che la dieta mediterranea e l’olio di oliva che ne costituisce uno degli ingredienti base sono diventati oggetto di studi e ricerche da parte della comunità scientifica internazionale.

L’accresciuto interesse per le proprietà dell’olio di oliva sono anche state stimolate dal preoccupante aumento di disturbi e malattie legate all’alimentazione non salutare, per esempio quella basata su prodotti alimentari elaborati industrialmente.

Obesità, malattie del metabolismo, malattie cardiache sembrano tutte strettamente legate ad una dieta che sempre più rinuncia a quei prodotti della natura che meglio potrebbero preservare il corpo, frutta, verdura, e, naturalmente olio di oliva.

In effetti molte popolazioni dell’area mediterranea risultano non solo più longeve, ma anche meno affette da quei disturbi che invece, soprattutto nei paesi anglosassoni, sono oggi diventati una vera piaga sociale.

Proprietà antiossidanti, dovute alla presenza nell’olio di oliva spremuto a freddo, a cui si aggiungono quelle di protettore dello stomaco, con una grande efficacia anche nel trattare le ulcere, di regolatore delle secrezioni biliari nel fegato, e di contrasto alla crescita del colesterolo cattivo. Conosciute ed apprezzate anche le proprietà lassative e quelle cosmetiche.

Un alimento naturale, sano e salutare che non dovrebbe quindi mai mancare sulla tavola ed in cucina.

DISTRUZIONE DI OLIVETI SALENTINI: OGGI COME NEL 1915 di Antonio Bruno

“DISTRUZIONE DI OLIVETI SALENTINI: OGGI COME NEL 1915”
La crisi che sta attraversando il settore ricorda quella vissuta a cavallo della Prima Guerra Mondiale. L’agronomo: “Rinnovabile, solare ed eolico fruttano e oggi come allora si abbattono gli ulivi”
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di Antonio Bruno *

L’olio d’oliva extra vergine qualche giorno fa e per la precisione il 3 aprile veniva pagato al mercato di Andria all’ingrosso 2,75 euro al chilo. Se l’olio ha il marchio Dop (Denominazione d’origine protetta) oppure Igp (Indicazione geografica protetta) allora può arrivare a quasi 7 euro al chilo, ma di questo tipo di olio ce n’è davvero molto poco.

Il numero di piante di olivo per ettaro si aggira in provincia di Lecce, nel caso di impianto tradizionale, a 400. Producono mediamente 45 chili di olive. Dalle olive si ricava mediamente il 18% di olio per cui da un ettaro di oliveto si ricavano 18.000 chili di olive e quindi 3.240 chili di olio che se, è andato tutto bene, e sempre se risultasse tutto extravergine con i prezzi di qualche giorno fa, sarebbe venduto a 2,75 euro al chilo.

Ecco che, se tutto viene fatto a regola d’arte e l’annata è stata buona, un ettaro di oliveto fornisce al proprietario una produzione lorda pari a circa 9.000 euro. Dai 9.000 euro però bisogna togliere i costi di produzione e cioè le spese per le lavorazioni, la concimazione, la potatura, la raccolta e trinciatura della legna, la difesa dai parassiti, la raccolta, il trasporto e infine la molitura. Cosa resta? Leggiamolo dalle parole scritte dagli agricoltori di Martano domenica 25 gennaio 2009 e che anche quest’anno risuonano nel Salento leccese: “Produrre olio non conviene più”. Allora abbattiamo gli olivi del Salento e magari facciamone legna da ardere, con quel che costa il gas. Sebbene la Legge n.144/51 permetta solo l’abbattimento di cinque alberi di ulivo ogni biennio, quando sia accertata la morte fisiologica, la permanente improduttività o l’eccessiva fittezza dell’impianto da parte dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura, alla luce della crisi che sta attraversando il comparto olivicolo, si comunica all’Ispettorato la necessità di operare lo svellimento totale degli alberi di olivo presenti nei terreni di proprietà.

Tra l’altro in controtendenza rispetto alla linea perseguita dal governo regionale che, con la legge regionale n. 14 del 4 giugno 2007 recante “Tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali della Puglia”, entrata in vigore il 7 giugno 2007, aveva inteso tutelare e valorizzare gli alberi di ulivo monumentali in virtù della loro funzione produttiva, di difesa ecologica e idrogeologica nonché in quanto elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio regionale, cercando di porre un freno al fenomeno dell’espianto e commercio degli alberi, specie di quelli secolari.

Il motivo? “Le attuali condizioni di mercato”, aggiungono gli olivicoltori – che in assenza di nessun intervento istituzionale a sostegno della economicità aziendale, rendono passiva, deficitaria ed antieconomica la loro coltivazione ed il loro mantenimento ai fini agricoli. Dopo un secolo la storia si ripete, solo che nel 1918 chi aveva occasione di percorrere le campagne del Salento leccese non poteva fare a meno di restare sorpreso nel vedere il grande movimento rappresentato dalla distruzione di oliveti che si andava compiendo a partire dal 1915. Tale distruzione era senza tregua sia d’estate, sia in inverno e sia che gli alberi di olivo si trovassero in buono che in cattivo stato di vegetazione e che producessero o meno un buon quantitativo di olive.

Nel 1918 si sentivano i colpi secchi della scure amplificata nel silenzio che allora dominava le campagne, chi si avventurava per le strade rurali era investito dall’odore acre del fumo che si sprigionava dalle carbonaie che si incontravano in ogni dove nelle contrade del Salento leccese. E sempre percorrendo la rete viaria salentina si incrociavano ovunque lunghe file di carri stracarichi di legna.

Questa immagine di devastazione è stata la caratteristica del Salento leccese del 1915-18 che costituisce la prova della crisi gravissima che in quel periodo stava attraversando l’oliveto e l’olivicultura salentina. In quel periodo non c’era necessità di recarsi in campagna per poter vedere le migliaia e migliaia di metri cubi di legna d’olivo che si accatastavano nei pressi delle stazioni ferroviarie. Inoltre a Piazza delle Erbe era possibile vedere i carri ricolmi che formavano una lunga coda per aspettare uno dopo l’altro di poter essere pesati sulla bascula dell’Ufficio daziario.
Questa situazione era già evidente in tutto il Regno d’Italia e il governo di allora avuta chiara la situazione pubblicò un decreto luogotenenziale l’8 agosto del 1916 che aveva la funzione di moderare questa piaga del taglio senza scrupoli degli oliveti meridionali. Le norme per accordare la concessione del taglio degli olivi contenute in quel decreto erano troppo vaghe ed indeterminate al punto che due anni dopo, ovvero nel 1918, si poteva assistere a questo scenario devastante ed apocalittico di taglio dei veri e propri boschi d’olivo del Salento leccese.

Quel decreto imponeva la costituzione di commissioni che dovevano autorizzare o meno la distruzione degli olivi che però agivano senza criteri precisi tanto che alcune volte autorizzavano la distruzione di oliveti che avrebbero dovuto essere rispettati e altre volte vietavano il taglio di oliveti vecchi ed improduttivi.

I proprietari di oliveti del 1915-18 erano incentivati a divenire taglialegna dai prezzi altissimi dei combustibili legna e carbone e quindi non esitavano a chiedere lo svellimento dei loro oliveti. Gli astuti proprietari per fare in modo che la domanda di autorizzazione per il taglio fosse fondata e accettata dalla commissione hanno scritto interminabili motivazioni, alcune volte giuste, ma spesso le argomentazioni addotte erano solo dei pretesti, alcuni dei quali addirittura ridicoli.

La maggior parte degli olivicoltori giustificavano la loro domanda di svellimento per l’improduttività delle loro piante. Spergiuravano che la mancanza di produzione permaneva nonostante avessero impiegato tutti i mezzi messi a disposizione dalla tecnica e dalla scienza. Altri giustificavano la domanda di taglio con la volontà di trasformare l’oliveto in seminativo da destinare alla coltivazione del tabacco o del vigneto che a loro dire garantivano un reddito di gran lunga più elevato.

Altri dichiaravano di voler tagliare il loro oliveto per destinare il terreno alla coltivazione raccomandata allora dal governo ovvero quella dei cereali essendo che il paese ne aveva necessità essendo stato tanti anni in guerra. Infatti, in quel periodo il Governo raccomandava di aumentare quanto più era possibile la produzione di derrate alimentari. Tale argomentazione risultava altamente umanitaria e spesso inteneriva i cuori dei componenti della commissione ottenendo in tal modo l’agognata autorizzazione al taglio.

Ma le ragioni che allora fecero più presa sull’animo dei componenti della commissione furono quelle di salvaguardare la salute dei lavoratori, potatori e raccoglitrici di olive che potevano essere contagiati dalla malaria che imperversava in quegli anni in quegli oliveti. Tutti i motivi addotti hanno avuto un gran successo tanto che la commissione ha autorizzato il taglio del 90% degli oliveti dei proprietari che presentarono domanda di distruzione.

Per questi motivi nel 1918 il Governo si apprestava a licenziare un altro decreto in sostituzione di quello del 1916, ma mentre il Governo provvedeva c’era un’altra causa che dava davvero ragione ai proprietari di oliveti di distruggere tutto ed era l’istituzione in quegli anni del calmiere sugli oli. Col termine calmiere dal greco kalamométrion, si intende l’imposizione per legge di un tetto massimo ai prezzi al consumo per uno o più prodotti, solitamente di prima necessità. Questa misura venne presa dal governo per contrastare un aumento eccessivo dei prezzi causato dall’inflazione. Per questo motivo se prima di questa decisione a voler tagliare gli oliveti erano solo i proprietari di quelli infruttiferi o poco fruttiferi affascinati dal miraggio dell’alto prezzo della legna, dopo l’introduzione del calmiere anche i proprietari di oliveti produttivi si lasciavano trascinare dalla corrente.

Il produttore di olive e di olio del 1918 faceva un ragionamento molto semplice dopo aver fatto i calcoli sulle spese di coltivazione e di raccolta del prodotto e tenuto conto anche della produzione di olive che non è costante, arrivava alla conclusione di distruggere i suoi oliveti vendendoli per legna anziché ricavare olio. Questo poiché l’olio avrebbe finito con l’essere venduto a prezzo di calmiere ritenuto per quegli anni eccessivamente basso rispetto a quello di altri grassi commestibili.

Le notizie riportate sono state redatte dal Prof. Ferdinando Vallese che conclude la sua nota con l’affermazione che il problema non era di facile soluzione perché comunque si cercasse di risolverlo si urterebbero gli interessi dei proprietari se si propendesse per l’applicazione del calmiere e quelli dei consumatori se del calmiere si intendesse fare a meno. Ora come allora gli olivicoltori pur consapevoli che l’espianto indiscriminato di ulivi porterebbe alla deturpazione del paesaggio tipico del nostro territorio, non vedono altre soluzioni alla grave crisi che sta attraversando il settore, che mette in serio pericolo la loro sopravvivenza aziendale. L’albero di ulivo, emblema del paesaggio e della storia dell’economia salentina, corre il rischio di scomparire perché risulta antieconomico.

Oggi la legna e il carbone non rappresentano la “suggestione energetica”, oggi vanno il rinnovabile, il solare e l’eolico, fruttano tanti euro all’anno, da riuscire ora come allora a distruggere gli oliveti del Salento leccese. Ad oggi la Puglia occupa per le energie rinnovabili il primo posto in Italia per potenza installata con oltre 100 Megawatt. Tra eolico, fotovoltaico e biomasse, il Piano Energetico regionale (Pear) prevede l’installazione di poco meno di 5 mila Mw di potenza entro il 2016. L’obiettivo “minimo” fissato dal Pear, prevede l’installazione di almeno 200 MW, cioè il doppio del risultato raggiunto fino ad oggi. Questo vuol dire che siamo solo a metà dell’obiettivo considerato minimo. Ora come allora la crisi del mercato è affrontata dagli agricoltori vendendo ciò che hanno avuto dai loro padri per ricavare energia. Allora la situazione cambiò. E oggi? Cosa faranno gli olivicoltori di oggi con un prezzo dell’olio di 300 euro al quintale?

* Dottore agronomo

Fonte: LeccePrima.it  07/04/10

La tignola dell’ulivo

La tignola dell’ulivo è un piccolo lepidottero che si trova in generale in tutta l’area di coltivazione degli ulivi, che generalmente non è in grado di creare danni notevoli se non, in alcuni casi di maggior diffusione, la caduta precoce delle drupe, il frutto dell’olivo

L’infezione maggiore viene causata dalle larve in due momenti distinti della stagione, verso giugno luglio, quando le larve penetrano nei frutti, ed a settembre quando le stesse larve fuoriescono dal frutto.

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La tignola ha uno sviluppo durante il corso dell’anno scandito da tre successive generazioni, la prima che si sviluppa sui fiori a giugno, la seconda quando l’insetto depone le uova sul frutto, e la terza in autunno quando depone sulle foglie.

La prima delle generazioni, quella cioè che si sviluppa nel mese di giugno a spese dei fiori e non provoca gravi danni, la seconda invece risulta la più dannosa di tutte perché colpisce il frutto. Le uova di questa generazione con le larve penetrano dalla zona peduncolare scavando poi una galleria fino a raggiungere il centro della drupa. Il frutto si indebolisce e quando la larva esce cade. A maturità abbandonano il frutto e si incrisalidano nel terreno o nelle screpolature della corteccia.

La terza generazione si sviluppa nel corso dell’inverno e si concentra sulle foglie. Le larve infatti scavano gallerie sul fogliame più giovane, ed in primavera attaccano i germogli più giovani dove si chiudono in crisalide.

Per la lotta alla tignola si usano essenzialmente trappole a feromoni da posizionare durante il periodo di sfarfallamento, e, solo in caso di un’infestazione ragguardevole si interviene con prodotti chimici, come fenitrothion, e acephate.

Rimedi naturali e prevenzione nella lotta alle malattie dell’ulivo

L’ulivo è una pianta molto robusta, e pur essendo numerosa la serie dei suoi nemici naturali, insetti, parassiti, funghi e batteri, la pianta in natura è in grado di difendersi da sola e di sopportare anche gli attacchi più pericolosi.

Tuttavia, in un ambiente dove la pianta è sfruttata produttivamente, e quindi in un ecosistema diverso e meno ospitale la pianta può essere più sensibile e maggiormente indifesa. L’habitat naturale è quindi molto importante, per esempio mantenere intorno agli uliveti l’ecosistema rappresentato dalla macchia mediterranea e dalla vegetazione autoctona permette che si sviluppino insetti ed altri nemici naturali dei potenziali parassiti, che in questo modo ne limitano la presenza e la pericolosità.

La prevenzione comunque rappresenta la miglior difesa, il monitoraggio della presenza di parassiti permette per tempo di agire e di correre ai ripari prima di dover far ricorso alla chimica.

Tra le più comuni tecniche naturali l’individuazione dei nemici naturali del parassita, che possono venire introdotti nelle coltivazioni al fine di attaccare gli agenti infestanti. Oppure l’irrorazione di sostanze zuccherine anch’esse in grado di attirare gli insetti che si nutrono di larve e uova dei parassiti.

Non mancano le trappole, che contengono i ferormoni, le sostanze emesse dall’insetto come richiamo sessuale, che opportunamente piazzate possono essere un ottimo metodo per catturare un diverso numero di insetti, utile soprattutto per quelli che in certi periodi dell’anno depongono le loro uova su foglie frutti e fiori.

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Evitare l’umidità eccessiva, e potare la pianta in modo da eliminare eventuali microclimi favorevoli allo sviluppo di agenti infestanti ed insetti nocivi rappresentano, insieme con la coltivazione di alberi bassi, per poterne raccogliere tutta la produzione fruttifera, e potature mirate sono ulteriori accorgimenti per migliorare la salute ed il vigore della pianta.

I romani e l’olio di oliva

L’olivo in Italia giunge circa 6-7 secoli prima dell’avvento dell’era cristiana, dapprima diffuso nel Mediterraneo orientale dai Fenici, e poi, dopo che i Greci ne avevano approfondito la conoscenza e le tecniche colturali, diffuso da questi ultimi anche nella penisola italiana ed in Spagna.

Sarà la Sicilia il punto di approdo della pianta dell’ulivo nel nostro paese, da cui poi si diffonderà in tutta l’Italia meridionale ed in seguito nel centro Italia ed in Toscana grazie all’impulso dato ala coltivazione dai Romani.

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In origine, per i greci, l’olio di oliva era già conosciuto ma non usato nell’alimentazione ma come unguento curativo e per la pulizia – Omero per esempio lo cita ma solo come unguento e non come alimento – ma quando fa la sua comparsa in Italia dell’olio di oliva erano già conosciute anche le proprietà nutritive ed era già consumato come alimento.

I romani terranno sempre in grande considerazione l’ulivo, tanto che in ogni territorio conquistato ne svilupperanno la coltivazione, e proprio l’olio sarà per molto tempo, uno dei tributi che le popolazioni sottomesse al potere di Roma dovevano versare.

Non solo ma i rametti dell’ulivo rappresentavano per i romani un simbolo di grande prestigio, ed intrecciati insieme con i rami di alloro come una corona che veniva posta sl capo delle persone più importanti e meritevoli.

Saranno proprio i romani poi a migliorare sia le tecniche colturali, sia, soprattutto, la costruzione dei primi macchinari efficienti per estrarre l’olio dalle olive ed i primi studi sui metodi di conservazione più validi.

Il legno dell’ulivo

Tra le tante qualità e risorse che sono rappresentate dall’ulivo una parte consistente è rappresentata dal legno di cui è fatto e la cui lavorazione si conosce da tempo immemorabile.

Persino la mitologia celebra le qualità del legno d’ulivo, come per esempio nel poema di Omero dedicato alle peripezie di Ulisse, l’Odissea, nel quale narra che l’eroe verrà accolto dalla sua tanto desiderata amata, Penelope, al termine del suo lungo viaggio, proprio in una camera che lo stesso aveva costruito per lei in legno d’ulivo, prima di partire per la lunga guerra di Troia.

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Il legno di ulivo si presenta duro e nodoso, molto spesso contorto, compatto e difficile da scalfire ed in grado di restare a lungo impermeabile alla penetrazione dei liquidi e degli odori, il che ne fa un materiale pregiato anche per l’uso in cucina.

Non è facile lavorare il legno d’ulivo, ma gli oggetti che vengono realizzati con questo hanno una bellezza considerevole, e hanno soprattutto la caratteristica di essere durevoli nel tempo.

Il colore del legno di ulivo è giallo-bruno, con forti venature più chiare ed altre più scure, che fanno di ogni oggetto realizzato in legno di ulivo un pezzo unico.

Nella lavorazione dell’ulivo vengono utilizzati i grossi rami, i tronchi e le radici, e prima di poterlo lavorare occorrono anche parecchi anni di stagionatura, che da sempre è stata fatta lasciando riposare le assi all’aria aperta protette dal sole e dall’acqua.

Ultimamente esistono anche forni che accelerano il processo di essiccazione, ma il prodotto finito non ha le stesse qualità del legno essiccato naturalmente.

SOS ulivi secolari e muretti a secco: fermiamo gli uomini che rapiscono i paesaggi.

SOS ulivi secolari e muretti a secco: fermiamo gli uomini che rapiscono i paesaggi.

Il nostro Salento sta risentendo come pochi altri territori della grave crisi che attanaglia l’economia mondiale, e l’unica sua speranza di recupero sta nel rilancio del turismo, nella valorizzazione delle nostre risorse naturali, paesaggistiche ed architettoniche, che rappresentano il nostro vero patrimonio, che, senza falsa modestia, possiamo affermare come unico al mondo e quindi patrimonio dell’umanità.

Vi sono però in atto delle squallide speculazioni che, in violazione della normativa protezionistica posta in essere dalla REGIONE PUGLIA, ma soprattutto in violazione della nostra storia, del nostro patrimonio culturale e delle nostre tradizioni, rischiano di impoverire il nostro patrimonio paesaggistico, a vantaggio di pochi.

Giungono sempre più spesso, infatti, notizie di smantellamento di interi uliveti, composti anche di piante secolari, che vengono espiantati e portati altrove, molto spesso al Nord, ad abbellire le ville di qualche ricco speculatore. Non solo; vengono letteralmente smontati i muretti a secco, presenze caratteristiche del nostro territorio, e le pietre vengono anch’esse portate altrove, ad abbellire ville creando anomali paesaggi mediterranei magari in un contesto alpino. E così vengono sottratti i nostri caratteristici imbrici, come pure gli stessi conci di pietra leccese: intere antiche masserie vengono smontate e, in un gigantesco gioco di costruzioni, trasferite altrove.

C’è sicuramente chi da questo sporco traffico trae guadagni ingenti, ma certamente chi ci perde è tutto il Salento, il suo paesaggio, che viene trasformato ma soprattutto privato da elementi caratteristici, sui quali invece dovremmo fare leva per poter diventare sempre più attrattivi rispetto i flussi turistici internazionali, ci perde la gente del Salento, che vede in questo modo disperso un patrimonio culturale e storico incommensurabile, a vantaggio dei soliti pochi furbi.

Giovanni D’Agata Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori denuncia questa speculazione, ed invita le istituzioni a controlli più rigorosi.

Lecce, 04 gennaio 2010

La mosca dell’ulivo

La mosca dell’ulivo è diffusa ovunque vi sia la coltivazione delle piante, che servono all’insetto per la nidificazione e per il nutrimento delle larve. La sua diffusione è condizionata da una serie di fattori, alcuni assolutamente naturali, come il clima e dall’umidità, che ne favoriscono lo sviluppo, la seconda dalla qualità stessa e dal metodo di coltivazione delle piante.

Lungo le zone costiere e le pianure la mosca trova un habitat favorevole, grazie al clima mite, alla maggiore umidità, ed al fatto che le piante sovente si sviluppano molto in altezza, così che molti frutti restano sulla pianta invece di essere raccolti, dando così l’opportunità alla mosca di trovare i frutti su cui deporre le uova.

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In collina e nelle zone interne, dove le piante, anche per ragioni climatiche sono di più modeste dimensioni in genere tutti i frutti vengono raccolti, privando così la mosca della possibilità di deporre.

La larva della mosca penetra all’interno dell’oliva e lì prosegue il suo sviluppo, nutrendosi della polpa e scavando una nicchia all’interno di questo all’altezza del nocciolo. Quando ha raggiunto lo stadio detto dell’impupamento, ovvero quando si avvolge nella crisalide, resta nel frutto se l’oliva è ancora verde, oppure si lascia cadere fuori dal frutto per continuare il suo sviluppo al suolo.

Il danno che provoca è soprattutto quello ai frutti, che possono cadere prematuramente, oppure, ancora più grave, possono compromettere la produzione dell’olio, aumentandone il grado di acidità.

Per la lotta alla mosca dell’ulivo si ricorre essenzialmente alle trappole che catturano efficacemente le mosche femmine in procinto di deporre, oppure irrorando il fogliame con sostanze zuccherine avvelenate con il piretro naturale. Esiste un insetto che è nemico naturale della mosca, l’opius concolor che si può diffondere sulle colture. La larva si sviluppa all’interno del frutto, e quindi non è possibile ricorrere a prodotti chimici perchè questi dovrebbero penetrare nei tessuti del frutto per essere efficaci e ciò non è ammesso per legge, e corromperebbe la qualità dell’oliva.